Kali – Storie di minori in Libia

Prima Ong italiana a intervenire all’indomani della primavera araba, Cesvi è presente in Libia fin dal 2011. Da allora la natura del nostro intervento si è evoluta per rispondere alle mutate esigenze del contesto: da azione umanitaria durante il conflitto a impegno per la protezione di rifugiati, richiedenti asilo, migranti e sfollati interni, vittime delle continue violenze che affliggono il Paese.

Il nostro più recente intervento, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), mira al miglioramento delle condizioni di vita dei migranti e rifugiati rinchiusi nei centri di detenzione di Tariq al Matar, Tariq al Seqa e Tajoura (Tripoli). Il loro stato di salute e di benessere psicosociale, spesso già messo alla prova da vissuti traumatici, rischia di essere compromesso dalla permanenza nei centri di detenzione, che presentano un contesto estremamente precario, caratterizzato da sovraffollamento e infrastrutture fatiscenti.

Il nostro lavoro parte da attività di profiling, che ricostruiscono identità, storia e necessità dei detenuti attraverso colloqui individuali, per identificare i casi che richiedono un supporto psicosociale specialistico perché, ad esempio, vittime di tortura, di tratta e di violenza di genere. Le persone identificate vengono prese in carico dagli stessi operatori specializzati di Cesvi o riferite ad altre organizzazioni presenti nel centro, come accade per l’erogazione dei servizi sanitari.

Quando si imbatte in soggetti vulnerabili, come i minori non accompagnati, Cesvi si attiva per passare il caso alle agenzie ONU di riferimento, che lavorano per un possibile rilascio. Dopo la storia di Bereket, vi raccontiamo anche quella di Kali, 4 anni.

Kali

Kali (nome di fantasia) è una bambina di 4 anni e viene dalla Guinea Bissau, Paese fortemente instabile da un punto di vista politico e con un PIL tra i venti peggiori al mondo. Paese da cui suo padre decide di fuggire portandola con sé, in cerca di condizioni di vita migliori.

Si imbarcano in Libia alla volta dell’Italia, ma vengono intercettati dalla Guardia Costiera libica. Solo pochi terribili attimi per decidere il destino di una vita intera: il padre si getta in acqua per sfuggire alle autorità, e Kali resta sola sul gommone che avrebbe dovuto traghettarla verso un nuovo inizio.

Viene condotta in uno dei centri di detenzione di Tripoli in cui lavora Cesvi. Gli operatori le forniscono subito una prima assistenza psicosociale e, dai racconti della bambina, cercano di capire i contorni della vicenda. Il suo caso viene riportato alle agenzie ONU competenti perché ne richiedano il rilascio e il ricongiungimento con il padre.

Nel frattempo, la bambina viene seguita dalla psicologa e dallo staff di Cesvi, che la coinvolge in attività ricreative e psicosociali per tenere monitorate le sue condizioni e supportarla, per quanto possibile, nel difficile contesto del centro di detenzione.

A seguito delle pressioni delle agenzie ONU e del sostegno dell’ambasciata della Guinea Bissau, Kali è stata rilasciata e ora si trova in uno spazio sicuro, in attesa di essere ricongiunta con il padre.

 

In foto: attività ricreative con bambini all’interno di un centro di detenzione