Libia: in prima linea per i diritti umani

Prima Ong italiana a intervenire all’indomani della primavera araba, Cesvi è presente in Libia fin dal 2011. Da allora la natura del nostro intervento si è evoluta per rispondere alle mutate esigenze del contesto: da azione umanitaria durante il conflitto a impegno per la protezione di rifugiati, richiedenti asilo, migranti e sfollati interni, vittime delle continue violenze che affliggono il Paese.

Il nostro più recente intervento, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), mira al miglioramento delle condizioni di vita dei migranti e rifugiati rinchiusi nei centri di detenzione di Tariq al Matar, Tariq al Seqa e Tajoura (Tripoli). Il loro stato di salute e di benessere psicosociale, spesso già messo alla prova da vissuti traumatici, rischia di essere compromesso dalla permanenza nei centri di detenzione, che presentano un contesto estremamente precario, caratterizzato da sovraffollamento e infrastrutture fatiscenti.

Il nostro lavoro parte da attività di profiling, che ricostruiscono identità, storia e necessità dei detenuti attraverso colloqui individuali, per identificare i casi che richiedono un supporto psicosociale specialistico perché, ad esempio, vittime di tortura, di tratta e di violenza di genere. Le persone identificate vengono prese in carico dagli stessi operatori specializzati di Cesvi o riferite ad altre organizzazioni presenti nel centro, come accade per l’erogazione dei servizi sanitari.

Quando si imbatte in soggetti vulnerabili, come i minori non accompagnati, Cesvi si attiva per passare il caso alle agenzie ONU di riferimento, che lavorano per un possibile rilascio. È quanto accaduto a Bereket, 5 anni.

Bereket

Bereket (nome di fantasia) è un bambino eritreo di 5 anni affetto da sordomutismo. La madre ha cercato di portarlo in Europa per garantirgli l’assistenza medica che nel Paese di origine non riusciva a ottenere, ma è stata fermata e rinchiusa con il figlio in un centro di detenzione.

La disabilità di Bereket gli comporta difficoltà a relazionarsi con gli altri bambini: la condizione di vita nel centro non ha fatto altro che peggiorare il suo già fragile stato psicologico ed emotivo.

Lo staff di Cesvi ha segnalato il suo caso alle agenzie ONU di competenza, offrendo contestualmente sia al bambino che alla madre il sostegno psicosociale di cui avevano bisogno.

L’intervento dell’ONU e le pressioni sulle autorità che gestiscono il centro hanno fatto sì che Bereket e la madre potessero essere rilasciati. Al momento si trovano in uno spazio sicuro, in attesa di ricevere adeguata assistenza medica.

 

In foto: attività con i bambini all’interno di un centro di detenzione.