Il 20 giugno si celebra ogni anno la Giornata Mondiale del Rifugiato che, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e celebrata per la prima volta nel 2001, vuole commemorare l’approvazione nel 1951 della Convention Relating to the Status of Refugees. Un’occasione importante per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione, spesso disperata, dei rifugiati.

Sono 65,3 milioni i “migranti forzati” nel mondo, persone costrette a fuggire dalle proprie case a causa di guerre, violenze, discriminazioni e violazioni dei diritti umani. Più della metà sono bambini (51%). La causa principale di questo esodo forzato è rappresentata dai conflitti.

Secondo le statistiche dell’UNHCR, aggiornate a fine 2015, il dato di 65,3 milioni comprende 3,2 milioni di persone in attesa di decisione sulla propria richiesta d’asilo, 21,3 milioni di rifugiati e 40,8 milioni di persone costrette ad abbandonare la casa ma che si trovano ancora all’interno dei confini del proprio Paese (sfollati interni). In sintesi, 24 persone, ogni minuto, sono costrette a lasciare la propria casa.

I barconi della morte sono diventati una realtà che ci riguarda sempre più da vicino, con migliaia di migranti che provengono via mare soprattutto da Siria, Afghanistan, Somalia, Iraq, Pakistan, Eritrea, Nigeria, Gambia. Oltre a questi, non si deve dimenticare, appunto, la gravissima situazione dei rifugiati che rimangono in Siria, Somalia, Iraq e Sud Sudan o che – nel caso della Siria – si spostano in Paesi limitrofi come Libano, Turchia e Giordania.

E ci sono anche altre aree del mondo, ancora più remote e dimenticate, dove migliaia di persone vivono in condizione di rifugiati: ad esempio il Kachin, stato settentrionale del Myanmar al confine con la Cina, dove è in corso da anni una guerra civile, nel più totale silenzio della comunità internazionale.