Emergenza sbarchi: ripartire dal principio umanitario

 

Il principale Paese di partenza o di transito dei migranti è la Libia, dove Cesvi è intervenuto dal 2011 come prima Ong italiana all’indomani della primavera araba. Oggi Cesvi è tra le poche organizzazioni italiane ancora presenti sul territorio libico.

Il progetto in Libia nasce per fornire protezione ai settori più vulnerabili della popolazione: i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti – che arrivano principalmente dalla Siria e dall’Africa Sub Sahariana – e gli sfollati interni, vittime delle continue violenze che affliggono il Paese.

Stando agli ultimi dati, sono oltre 900 le persone partite dalla Libia e morte durante le traversate del Mar Mediterraneo nel 2015. L’Italia, insieme a Malta e alla Spagna, è uno dei Paesi maggiormente esposti alla prima accoglienza, pur essendo considerata oggi un territorio di “transito” e non più il luogo in cui fermarsi.

I conflitti e l’instabilità politica, sociale ed economica dei Paesi della sponda sud del Mediterraneo hanno modificato la natura del flusso migratorio in arrivo verso l’Europa: la percentuale dei richiedenti asilo, tra il 2012 e il 2013, è aumentata del 60%, ridefinendo i flussi migratori mondiali, non più composti principalmente da migranti spinti a lasciare il Paese d’origine per motivi economici, ma da profughi in fuga da guerre, persecuzioni e discriminazioni.

A seguito dell’ennesima tragedia umanitaria avvenuta nel canale di Sicilia, Cesvi intende riportare al centro del dibattito il principio umanitario, alla base del lavoro che svolge da 30 anni in tutto il mondo.  “Tutti gli esseri umani godono di uguale dignità ed è un dovere universale alleviare le sofferenze delle popolazioni vulnerabili per garantire il rispetto dei diritti fondamentali e dei bisogni essenziali di tutti. E’ proprio in nome di questo principio che Cesvi si unisce alla voce dell’UNHCR e di tutte le organizzazioni che chiedono l’apertura di un canale umanitario, un corridoio legale e sicuro per fuggire da situazioni di guerre, conflitti e persecuzioni”, dichiara Giangi Milesi, Presidente Cesvi.

In Libia non c’è un sistema nazionale di registrazione dei richiedenti asilo e di riconoscimento dei rifugiati, né un meccanismo di controllo e protezione per coloro che rischiano di essere rimpatriati nei Paesi d’origine. I rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti sono stati individuati nel corso del 2014 grazie all’impegno dell’UNHCR e con il supporto Cesvi – presente nell’area di Benghazi e di Tripoli – che ha offerto loro sostegno economico, assistenza medica e supporto psicosociale.

Le recenti violenze in Libia hanno inoltre causato l’aumento degli sfollati interni, che non hanno accesso ai servizi di base, in particolare all’assistenza sanitaria, ai quali Cesvi fornisce kit igienico-sanitari e di prima necessità. “La maggior parte degli sfollati trova rifugio presso parenti, conoscenti o nelle comunità locali o riesce a trovare riparo in edifici pubblici, principalmente nelle scuole. Questo significa che non ci sono più edifici scolastici disponibili: il rischio è quello di negare ad un’intera generazione l’accesso all’istruzione. Vogliamo occuparci anche di questo, ad esempio attraverso la creazione di Skype schools”, spiega Milesi.

Dal primo gennaio a metà marzo 2015 più di 6.400 migranti sono sbarcati in Italia, tra i quali  500 donne e più di 700 minori. Centinaia sono i minori stranieri che arrivano sulle coste italiane senza genitori. Adolescenti di 12-17 anni, provenienti da tanti Paesi diversi, come Egitto, Albania, Somalia, Eritrea, Gambia, Bangladesh e Siria.

Dal 2014 Cesvi collabora con l’associazione AccoglieRete di Siracusa, una rete di circa 150 volontari di ogni età ed estrazione sociale che svolgono il ruolo di “tutori legali” con l’obiettivo di ridare a questi ragazzi dignità e speranza.

Foto di copertina: Giovanni Diffidenti