Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario 2017

Il 19 agosto si celebra la Giornata Mondiale dell’Aiuto Umanitario, in ricordo delle vittime del bombardamento contro il quartier generale delle Nazioni Unite avvenuto a Baghdad nel 2003.

Una giornata che si fa occasione di riflessione su tutte quelle situazioni di guerra e povertà che ancora richiedono a gran voce l’intervento dell’aiuto umanitario.

Non da ultimo, si celebra oggi anche il preziosissimo impegno degli operatori umanitari che in quei contesti vivono e lavorano con le comunità coinvolte. Nella Giornata a loro dedicata vogliamo lasciare spazio alle storie di chi della solidarietà ha fatto una professione e uno stile di vita.

Essere cooperante in Somalia

Isabella Garino è capo-missione per Cesvi in Kenya e Somalia. Originaria di Torino, laureata in architettura, intraprende una carriera che nulla ha a che vedere con la cooperazione internazionale. «Ho lavorato come architetto in Portogallo e in Italia – racconta Isabella –non avrei mai immaginato che avrei fatto questo lavoro e mi sarei stabilita così lontano da casa. Costruivo ville e villette ma a un certo punto della mia vita ho iniziato a farmi delle domande sul senso del mio lavoro». Le riflessioni portano Isabella alla decisione di frequentare un Master in Cooperazione Internazionale. Terminati gli studi, nel 2008 inizia un tirocinio con Cesvi in Somaliland. «Quando mi hanno proposto questa destinazione ho avuto paura. Non conoscevo la Somalia, se non per i racconti legati alla guerra civile, alle carestie».

Da allora la collaborazione con Cesvi non si è mai più interrotta: Isabella lavora per noi da ormai nove anni. Ha sposato un collega somalo-kenyota, da cui poi ha avuto un bambino: oggi vivono insieme a Nairobi. Segue le attività del Cesvi in Somalia da un ufficio di coordinamento in Kenya, perché le condizioni di sicurezza non le permettono di vivere sul posto. Periodicamente svolge delle missioni per verificare lo stato dei progetti.

Di tutte le esperienze vissute sul campo, tra le più forti ricorda quella nei campi profughi di Dadaab«Nel 2011 mi trovavo a Dadaab proprio mentre la Somalia era colpita da una grave carestia. – continua – Ancora oggi nella mia mente sono vivi i ricordi di quel che ho visto e vissuto. Alcune famiglie somale in fuga da violenze e miseria arrivavano al campo stremate dopo viaggi a piedi, in condizioni fisiche inimmaginabili. Ricordo le file lunghissime di persone sfinite che aspettavano di essere registrate per ore sotto il sole. Nel campo – prosegue – cibo e acqua scarseggiavano e i nuovi arrivati vivevano in capanne fatte di stracci».

In Somalia, Cesvi è attivo nell’area centro-meridionale, in particolare nelle regioni di Mudug, Hiraan, Banadir e Lower Shabelle, in risposta alla siccità che dal 2016 affligge pesantemente la popolazione locale. Nell’ultimo anno Cesvi ha quindi ampliato le sue attività ed esteso la sua presenza sul territorio. «Sul fronte dell’assistenza sanitaria – continua Isabella – abbiamo aperto nuovi centri medici che garantiscono le cure di base e i servizi per le emergenze, tramite i quali raggiungiamo oltre 60.000 persone. Gli interventi di contrasto alla malnutrizione hanno invece un bacino di beneficiari di circa 7.000 bambini. Sembrano grandi numeri, invece c’è ancora tanto da fare perché le emergenze sono all’ordine del giorno».

La vita sul campo non l’ha però portata a contatto solo con la sofferenza: «Cesvi non svolge soltanto attività di risposta all’emergenza ma anche e soprattutto attività di “resilienza”: con questa parola intendiamo la capacità di una comunità di far fronte agli shock e di continuare a svolgere le proprie funzioni in un contesto caratterizzato da rischi e incertezze. I nostri progetti mirano a fornire alle comunità locali gli strumenti giusti per ricostruire a piccoli passi un’economia o un sistema sociale attraverso la consapevolezza. Ed è quello che osservo tutte le volte che vado a vedere con i miei occhi quello che facciamo: le persone valorizzano al massimo il percorso fatto insieme a Cesvi e si sono attrezzate per le crisi ricorrenti in Somalia. Sono loro le vere protagoniste dell’intero percorso: le comunità. Partecipano e contribuiscono attivamente a tutto il processo, dalla scelta delle attività all’implementazione delle stesse.

È sempre emozionante lavorare sul campo e vedere come il nostro contributo viene messo a frutto. C’è tanto da dare e tanto da imparare proprio dalle comunità stesse. Questo colma di senso un lavoro come il mio che può essere a volte molto complicato».

 

In foto: Isabella Garino