Crisi Israele-Palestina: frontiere invalicabili

 

di Sara Agostinelli, tratto da L’Eco di Bergamo del 14/7/2014

La Palestina di questi giorni, sotto le bombe di Israele, vista direttamente da lì: Ludovica Ghilardi si trova a Hebron, dove lavora per Cesvi a un progetto per l’accesso all’acqua potabile e a strutture igienico-sanitarie.

“La situazione è terribile – racconta Ludovica – la Striscia di Gaza è completamente chiusa, le frontiere sono invalicabili, non ci sono nemmeno medicine per i feriti”.

“Da Hebron non vediamo i bombardamenti – spiega Ludovica – ma anche qui non si parla d’altro. I palestinesi non credono più a nessuno, non hanno fiducia nei governi occidentali e la rabbia continua a crescere”.

Ogni giorno, anche nella zona in cui lei lavora, che pure dista oltre cento chilometri da Gaza, ci sono scontri tra la popolazione locale e i soldati israeliani che presidiano i territori occupati.

“Qui è normale che succeda – continua – quasi ogni giorno si vedono scontri tra giovani palestinesi che tirano pietre e mezzi e uomini dell’esercito di Tel Aviv. Ma ora la tensione è aumentata, i conflitti sono sempre più frequenti”.

Camionette e carri armati dell’esercito che arrivano di continuo, ancora più check-point del solito all’ingresso della città e la paura che monta: soprattutto di un attacco via mare su Gaza, che sembra ormai imminente.

“Dopo che sono stati rapiti i tre giovani coloni poi ritrovati uccisi, anche qui ad Hebron l’occupazione si è fatta più pesante. Nell’area in cui ci troviamo noi, la West Bank, sono state arrestate più di cinquecento persone e le incursioni nelle case dei palestinesi erano continue, i soldati distruggevano tutto. L’obiettivo era evidentemente spaventare la popolazione civile, oltre che colpire Hamas. La città è stata chiusa per due settimane, non si poteva uscire né entrare, non potevamo nemmeno raggiungere le zone rurali in cui lavoriamo”.

A volte il progetto richiede qualche spostamento a Gerusalemme e Ludovica deve andarci da sola, perché i colleghi palestinesi che arrivano da un’altra città senza un permesso speciale non ci possono entrare.

“Sono confinati in una specie di prigione – commenta Ludovica – qui funziona così”. Una prigione a cielo aperto, come la Striscia di Gaza. In questi giorni, una prigione sotto le bombe.

Ludovica sta per tornare: ad agosto il suo incarico si conclude. Grazie al progetto a cui ha lavorato, più di duemila persone possono beneficiare di un allacciamento alla rete idrica o almeno all’utilizzo di una cisterna e di latrine settiche.

“In molti qui dicono che sarà la terza Intifada – conclude Ludovica – ma ho sentito anche parecchie persone dire che i palestinesi non hanno più nemmeno la forza per organizzarsi”.