Il ricordo indelebile di una Casa del Sorriso

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di Anna Pezzica 

Sono una docente in pensione di Letteratura e Storia al Liceo; ho sempre dedicato le prime lezioni dell’anno scolastico a spiegare ai miei alunni la cooperazione internazionale, i progetti e le attività, soprattutto le Case del Sorriso in India, nel Tamil Nadu, costruite dopo lo tsunami del 2005, per i bambini e ragazzi rimasti orfani o con famiglie disagiate che non potevano accudirli: raccontavo in particolare della Casa femminile Nambikkai, facevo vedere immagini fotografiche e video, spingevo alla raccolta fondi di classe.
Ma niente di tutto ciò ha potuto prepararmi a quello che ho visto, vissuto e provato quando finalmente ho viaggiato in India per visitare le Case del Sorriso: un impatto emotivo profondo di verità e bellezza.
Con un volo di linea dal sito archeologico di Hampi, arriviamo a Pondicherry, nel Tamil Nadu, dove incontriamo la responsabile Cesvi indiana, Alli Basker, che ci accompagnerà nel nostro giro; prima tappa la Casa del Sorriso femminile vicino al villaggio di Killai, nel distretto di Cuddalore.
Un viaggio in macchina con autista di tre ore nelle campagne dell’interno: incontriamo villaggi, baracche, persone che vendono frutta sul ciglio della strada o dormono tra le mucche, discariche a cielo aperto, cumuli di plastica ovunque: il paesaggio indiano che pensi di non poter sopportare e invece ti abitui e lo guardi con rassegnazione.
Arriviamo a destinazione dopo un tratto di strada sterrata e ci appare una bella casa grande con un portico bianco sul davanti, piante, giardino e orto.
Scendiamo dall’auto e le vedo: un gruppo di 30 bambine e ragazze, schierate ad aspettarci con le loro educatrici, tutte vestite a festa, con abiti tradizionali coloratissimi e luccicanti.
Parte un applauso in nostro onore, due ragazze ci mettono in testa una corona di fiori e ci regalano teli bianchi di cotone con disegni stilizzati; la targa CESVI dell’inaugurazione della casa nel 2007 è sopra le loro teste, la prima fotografia di gruppo ritrae proprio questo momento di benvenuto.
Sarà il caldo, anche un po’ di fame… fatto sta che mi commuovo subito, mi viene da piangere; due bambine si avvicinano e mi stanno abbracciate ai fianchi, non mi lasceranno più.
Sembrano gemelle, hanno i capelli cortissimi, sono vestite con i sari arancioni e dorati: sono stremata dall’emozione.
Devo calmarmi e razionalizzare, l’impatto emotivo è troppo forte per reggere tutta la giornata; cerco lo sguardo di Maurizio e vedo che anche lui ha gli occhi lucidi….. andiamo bene!
Iniziamo la visita della casa dalla bella cucina, dove è già pronto il nostro pranzo: noi mangiamo seduti al tavolo con piatto, bicchiere e forchetta, fogli di giornale come tovaglia.
Ci servono le maestre, piatti tradizionali buonissimi, piccanti e speziati con riso bianco; poi mangeranno loro, sedute a terra in cerchio con il piatto davanti da cui prendono il cibo con le mani, secondo il loro uso quotidiano.
Vado a vedere dove stanno mangiando le bambine e ragazze: in una grande sala, sono tutte sedute a terra con le gambe incrociate, appoggiate alle pareti, il piatto davanti colmo di buon cibo e il bicchiere d’acqua.
Mangiano con le mani, in assoluto silenzio, ordinate e attente a non sporcare.
Penso alle nostre mense scolastiche, con i bambini che parlano e urlano, le maestre che tentano di imporre il silenzio, molto cibo che non piace lasciato nei piatti.
Dopo il pranzo, visitiamo il piano superiore della casa, dove ci sono i dormitori: entriamo in due stanze spaziose apparentemente vuote; i materassi su cui dormono vengono ripiegati durante il giorno e posti negli scaffali assieme ad altri indumenti; ogni bambina ha il proprio ripiano, ordinato e profumato.
Qui tutto è pulito, anche il pavimento; l’unica cosa che sporca sono i miei sandali, me li hanno fatte tenere per estrema gentilezza nei miei confronti e non ho potuto toglierli!
Scendiamo nel salone, ci sediamo attorniati da tutte le bambine e facciamo tante foto; anche con il mio inglese stentato, riesco a parlare con loro e farmi raccontare dalle più grandi la loro vita nella casa: sono tutte contente, entusiaste della situazione, vanno a scuola, mangiano quattro volte al giorno, fanno molte attività artistiche, studiano l’inglese.
Hanno preparato uno spettacolo di musiche e danze per noi; lo show inizia, le educatrici sono preoccupate ed emozionate.
E’ un saggio bellissimo, tutte le allieve piccole e grandi sono preparate, danzano libere e con cognizione di causa!
Applausi a non finire e poi tutte di nuovo sedute attorno a me: chi mi accarezza, chi mi parla, mi tocca i capelli, le piccole sono sedute tra le mie gambe.
Come farò ad andare via da lì quando sarà finita la giornata?
Parliamo con una giovane insegnante di inglese: anche lei è stata una bambina della Casa, subito dopo lo tsunami del 2005, ha vissuto qui fino ai 18 anni e poi è stata supportata nella frequenza all’Università fino alla laurea. Ora torna nella Casa per aiutare e dare lezioni di inglese alle bambine nel pomeriggio.
Così va il mondo…quando funziona bene! I donatori CESVI che sostengono questo progetto devono esserne veramente fieri.
Concludiamo la giornata con la visita all’orto e alla dependance dove si tengono le attività artigianali di sartoria: un laboratorio ben attrezzato con tavoli e macchine da cucire; le maestre ci fanno vedere i vestiti per bambini che vengono confezionati e venduti sui mercati locali. Anche le tele di cotone che ci hanno regalato vengono cucite qui.
Torniamo in cucina a bere un ottimo thè e dobbiamo prepararci ai saluti: è più facile congedarsi dalle maestre e cuoche, ringraziarle per l’ospitalità; con le ragazze più grandi ci sono abbracci, baci e sorrisi.
Ma con le bambine non è facile: mi si buttano addosso, mi abbracciano, mi baciano, le piccole con i sari arancioni non mi lasciano la mano; le prendo in braccio, ma sbaglio, ora tutte vogliono il bacio d’addio in braccio. Lo faccio una alla volta, dico bye bye, state brave, ci rivedremo, mi vedono piangere, non va bene, cerco di trattenermi e le faccio ridere.
Io non so come ho fatto a salire in macchina e salutarle dal finestrino, come stordita.
La responsabile CESVI mi guarda e sorride, dice: “Succede sempre così la prima volta, poi passa”.
E’ vero, passa, ma rimane indelebile il ricordo di una Casa del Sorriso perfetta e unica: è un fiore all’occhiello per i progetti CESVI, una realtà  di vita migliore per le bambine e le ragazze indiane, un atto di speranza per un’umanità nuova.