Myanmar: la sfida della Dry Zone

di Daniele Panzeri, rappresentante Cesvi in Myanmar

Il paesaggio, normalmente arido, durante la stagione del monsone fa spazio a un morbido tappeto verde, intervallato da palme slanciate verso l’alto. Le chiome sembrano chiudersi stancamente in un inchino, come fiaccate dalla pioggia. Quasi a scanso di equivoci, la zona centrale della Birmania in cui il Cesvi opera dal 2009 si chiama “Dry Zone” e il nome spiega bene ciò che ci si può aspettare. Anche nella stagione del monsone, quando le nuvole coprono il cielo e l’acqua riempie i fiumi, che straripano allagando i terreni confinanti, non c’è grande sollievo. La violenza della pioggia spesso spazza via il lavoro di semina appena fatto ed erode il suolo, mangiandosi i campi.

Per sfuggire a questa situazione molti abitanti se ne vanno altrove in cerca di fortuna, applicando una delle più comuni strategie di adattamento, la migrazione. La “Dry zone” è la regione con il più alto numero di emigranti della Birmania, molti dei quali si muovono per lavori stagionali in altre zone del Paese, e altri ancora a Singapore o in Malesia. Secondo un rapporto elaborato nel 2011 dal WFP in collaborazione con Cesvi e altre organizzazioni, il 22% delle famiglie della Dry Zone conta almeno un membro emigrato e circa un terzo delle stesse ne ha più di uno. Sono numeri che danno l’idea di come ciò che si sta sfaldando non sia solo il terreno su cui coltivare, ma anche il tessuto sociale delle comunità che lo abitano.

La sfida che abbiamo davanti consiste nel far sì che gli abitanti della Dry Zone abbiano accesso a una quantità di cibo sufficiente, ma anche e soprattutto che siano in grado di garantirsela in modo sostenibile nel tempo. La chiave è il rafforzamento delle comunità al fine di aumentare le loro capacità e “resilienza”, ovvero la capacità di risposta agli shock esterni. Le comunità devono diventare protagoniste dello sviluppo e delle priorità su cui investire, non solo meri beneficiari. La collaborazione deve essere il più possibile alla pari considerando i bisogni, ma anche le potenzialità delle popolazioni locali.

Questo è il caso di U Sein Aung Min del villaggio di Naz – Kan, che ha messo a disposizione il suo tempo e il suo terreno per mostrare nuove tecniche agli altri membri della sua comunità. Prima era solito applicare prodotti chimici, fertilizzanti e pesticidi, per aumentare la produttività del raccolto, senza considerarne gli effetti collaterali e il costo elevato. Tutto ciò lo aveva fatto piombare in un circolo del debito da cui era difficile uscire.

Il comitato di villaggio lo ha selezionato per partecipare ai corsi di formazione del Cesvi sulle nuove tecniche agricole, indicandolo come “key farmer”, ovvero come contadino di riferimento che si impegna a insegnare agli altri ciò che ha imparato e a promuovere un approccio comunitario alla produzione agricola. Dopo aver frequentato la formazione, U Sein Aung Min ha accresciuto le sue conoscenze tecniche su come fare il compost per il concime organico e su come usare i pesticidi Neem (estratto di Neem naturale) per la protezione delle piante. La maggior parte degli agricoltori del villaggio hanno guardato con interesse il suo lavoro e la sua fattoria, rimasta verde rispetto agli altri campi, cominciando a seguire i suoi consigli.

Le conoscenze acquisite sulle pratiche agricole più appropriate (a basso costo e alto profitto), la gestione integrata dei parassiti, le tecniche di gestione del suolo e delle risorse naturali – condivise e discusse insieme agli altri agricoltori – hanno permesso al villaggio di mitigare gli effetti della stagione arida e di ridurre il rischio di erosione del suolo, aumentando la capacità di resistere a questi schock esterni e riducendo i rischi di fronte a possibili siccità.

Un altro caso interessante è quello di Daw Han Myint del villaggio di Si Pin Thar che, travolta dai debiti a causa degli usurai, non riusciva a mandare i suoi sei figli a scuola. Con la formazione sulle tecniche di risparmio, è diventata una delle socie più attive di un gruppo di risparmio comunitario che, mettendo da parte piccole somme e prestando il denaro a interessi molto bassi, ha consentito al villaggio di dotarsi di una sorta di fondo di mutuo soccorso.

Questo fondo può essere usato per fare fronte alle difficoltà che le famiglie incontrano o per sostenere alcune micro-attività imprenditoriali, seguendo il regolamento che le stesse comunità si danno. Daw Han Myint, con il prestito dal suo gruppo, ha deciso di coltivare e vendere lavanda. Ha fissato il suo prezzo di vendita a 5 kyats ogni piantina per gli estranei e 3 kyats per i membri del gruppo di risparmio, che rivendono poi le piantine al mercato. In questo modo, le donne che ne fanno parte contribuiscono significativamente al bilancio familiare.

Il fondo non può essere considerato un’attività di microcredito poiché Cesvi non fornisce denaro, ma solo corsi di formazione sulle tecniche di risparmio. Le risorse comunitarie hanno però permesso di ottenere questo piccolo grande successo e ora due dei figli di Daw Han Myint sono iscritti alla scuola primaria.

La risposta di una comunità ai traumi esterni è strettamente correlata alla consapevolezza delle proprie risorse e capacità. Lavorare per il rafforzamento del tessuto sociale di un villaggio (il cosiddetto “community empowerment”) aumenta la resilienza di una comunità rispetto alla presenza di fattori esterni che possono metterne a rischio l’economia o addirittura la sopravvivenza.  

Dopo questi incontri e passando tra le strade della Dry Zone, ci pare che il paesaggio sia sempre meno arido e le palme, come sollevate, questa volta sembrano volare.

Foto di Valeria Turrisi