Semi di comunità per coltivare il futuro

 

di Tino Mantarro

Se tutti i villaggi fossero come War Taw Chaung, il lavoro di San Win Kye sarebbe più facile. Appoggiato sull’argine del fiume Irrawaddy a pochi chilometri da Magway, War Dwo Cheung è un villaggio di 490 anime. “Qui tutti hanno almeno un pezzetto di terra”, spiega U Htay Naing, agronomo birmano che coordina il progetto Cesvi nella Dry Zone, la parte più arida del Myanmar.

“Grazie alla vicinanza con l’Irrawaddy gli abitanti di questo villaggio possono contare sue due tipi di terre: le Upland, che sono private e non tutti posseggono, e le Cityland, che si trovano nel letto del fiume e appartengono alla comunità che le ripartisce tra tutte le famiglie”. Per sei mesi l’anno, quelli della stagione secca, quando l’Irrawaddy diminuisce la sua portata e lascia scoperto parte del suo immenso letto, gli abitanti di War Taw Chaung hanno diritto a coltivare un appezzamento su un terreno assai fertile, ricco del limo lasciato dal fiume ritirandosi. “La gestione di queste terre è da sempre affidata a un comitato di villaggio, per cui qui è stato più semplice impiantare il nostro schema che prevede i community mobilizer e responsabili di ogni settore” racconta U Htay Naing. “E poi la situazione economica qui è migliore. Non solo tutti hanno terreni per sei mesi l’anno, ma c’è molta più disponibilità di acqua, il che permette di coltivare anche pomodori, meloni e ceci, che possono essere venduti a buon prezzo al mercato a Magway”, aggiunge.

Questo contribuisce non poco ad alleviare il lavoro di San Win Kye, 23 anni, che di mestiere fa la village mobilizer: nome oscuro che si riferisce alla figura che fa da collegamento tra la struttura del progetto e i beneficiari nei villaggi. “Il mio compito consiste nel girare per i villaggi e parlare con i membri dei diversi comitati per capire come sta andando il lavoro e cosa serve per migliorare. Ne visito due al giorno e cerco sempre di andare a parlare anche con le diverse famiglie per capire di cosa possono aver bisogno e monitorare l’effetto delle attività del progetto”, racconta San Wie Kye. “Un’esperienza che mi è servita per capire quanto sia utile il lavoro delle Ong internazionali nel nostro Paese. Prima i ragazzini del mio villaggio erano sempre sporchi e nessuno si curava della loro igiene. Dopo l’arrivo di Cesvi ho potuto vedere i cambiamenti concreti e questo mi ha spinto a fare domanda per questo posto”, racconta cercando di vincere la timidezza. “Ho sette villaggi da seguire, ma sono fortunata perché si trovano tutti abbastanza vicini al mio. Per cui posso muovermi facilmente in motorino, anche se nella stagione delle piogge a volte si rimane impantanati”, racconta. “In un villaggio come questo distribuiamo sementi e impartiamo consigli per migliorare le coltivazioni grazie ai suggerimenti dei nostri esperti agronomi. Ma distribuiamo anche capi di bestiame e assistiamo 20 donne con un progetto di saving rivolto alle famiglie più povere”, spiega.

“Lavoro a questo progetto Cesvi da due anni e posso constatare i progressi delle varie comunità, soprattutto di quelle più bisognose di aiuto”, racconta con soddisfazione. Anche se War Taw Chaung è un villaggio che funziona bene, di problemi ce ne sono sempre. “Quando devi cambiare i membri del comitato ci sono sempre difficoltà a far capire alle persone che, anche se non sono state più scelte dai loro concittadini, è importante condividere il sapere e le responsabilità con gli altri e passarle ai giovani per il bene delle comunità”, spiega  San Wie Kye.

“In Myanmar abbiamo avuto 50 anni di educazione militare e a certe cose molti non erano abituati. Passare la mano non era una abitudine. In tanti hanno paura del cambiamento: del resto non possiamo pretendere che si rivoluzioni in due anni quello che è stato immobile per 50”, commenta U Htay Naing. “Ma una buona metà dei nostri volontari dei comitati capisce il valore del proprio ruolo al di là del progetto. Perché noi, tramite questa struttura di base, alleniamo gli abitanti a capire l’importanza delle loro scelte. Quando uno non va bene, dopo il primo mese di prova, lo si può cambiare, se i cittadini lo ritengono necessario. E questo serve per far capire la responsabilità di quello che stanno facendo: per loro e per la comunità cui appartengono”, aggiunge. Si tratta dunque, oltre che di distribuire semi e capi di bestiame, di stimolare il senso di appartenenza a una comunità. “Per fare in modo che le comunità rurali siano più consapevoli, più informate e abbiamo potere decisionale. In modo da essere più resilienti ad eventuali shock esterni che possono mettere a rischio il raccolto e la loro stessa sopravvivenza”, spiega Daniele Panzeri, rappresentante del Cesvi in Myanmar.

Gran parte di questo sforzo passa dal sorriso delicato di San Win Kye e dai suoi giri in motorino per i villaggi. A parlare con lei si capisce che questi semi di comunità gettati dal Cesvi in Myanmar hanno iniziato ad attecchire. Cosa faresti se questo lavoro finisse? “Vorrei continuare a fare la volontaria in favore delle nostre comunità. In questi anni ho imparato ad avere più fiducia in me stessa e nelle mie idee. Ora so come confrontarmi con gli altri, soprattutto gli adulti, e come far accettare i cambiamenti che sono necessari per progredire”. Anche se il suo sogno, in realtà, in principio era un altro. “Avrei voluto lasciare il villaggio e trasferirmi in città per aprire un negozio. Magari lo farò, ma vorrei trovare il modo per continuare a lavorare per la mia comunità”.