Dalla paura della violenza domestica alla pace della Casa del Sorriso

Sudafrica

di Matteo Manara, foto di Gianluigi Guercia

Essona ha 16 anni ed è la maggiore di due sorelle. È lasciandosi andare a poco a poco, dopo una iniziale ritrosia, che ci racconta la difficile storia della sua famiglia, composta da Asonele, 11 anni, dalla mamma Gcotyelwa, 35, e da un padre violento e dedito all’alcool – come tanti, ahimè, in Sudafrica.

Dei giorni in cui mio padre si è ubriacato, ne ricordo molto bene uno in particolare. È tornato a casa ed ha cominciato ad insultarci, biascicando. Poi ha iniziato a picchiare mia madre. Io e Asonele abbiamo cercato di fermarlo, ma poi, per la prima volta, lui ha fatto del male anche a me. Così siamo fuggite dalla vicina, un’amica della mamma, nell’attesa che passasse la tempesta”.

Essona ha assistito per anni alle violenze domestiche che sua madre subiva regolarmente dopo il matrimonio del 2013 con il marito: “Ero infelice e arrabbiata; piangevo molto; vedevo mio padre picchiare mia madre e creare il caos prendendo e gettando ogni cosa che gli passava tra le mani”.

Non deve essere facile la vita per una ragazza in Sudafrica, un Paese che registra uno dei più alti tassi al mondo di violenza domestica e in cui, secondo le ultime statistiche, almeno il 51% delle donne ha subito qualche forma di violenza per mano di fidanzati, compagni, mariti. Un Paese dove la violenza di genere è ormai assurta ai livelli di una vera pandemia e, persino secondo le parole del Capo dello Stato Cyril Ramaphosa, “prospera in un clima di silenzio”. “In troppi casi di violenza di genere” – ha dichiarato nel giugno scorso – “i perpetratori sono conosciuti dalla vittima, ma anche dalle nostre comunità. Con il nostro silenzio, guardando dall’altra parte perché pensiamo che sia una questione personale o familiare, diventiamo complici dei più insidiosi crimini”.

Come rimarca anche Luvuyo Zahela, responsabile del progetto Casa del Sorriso a Cape Town: “Dobbiamo fare di più in termini di mobilitazione, educazione, sensibilizzazione; incrementare la capacità delle donne di denunciare gli episodi di violenza; ma anche incoraggiare altri uomini e giovani ad essere in prima linea nella lotta contro la violenza di genere”.

Proprio nella Casa del Sorriso di Cesvi la famiglia di Essona ha trovato rifugio, quando Gcotyelwa si è resa conto che la situazione continuava a peggiorare e che rimanere con il marito poteva essere molto pericoloso sia per lei che per le sue figlie.

Grazie alla Casa del Sorriso, Gcotyelwa ha completato con successo un corso come guardia di sicurezza ed è attualmente in possesso di un certificato che potrebbe aprirle le porte di un lavoro comunemente “maschile” nell’immaginario collettivo: un segno di quanto sia cruciale l’empowerment delle donne nel progetto di Cesvi. Essona e la sorella Asonele, dal canto loro, frequentano regolarmente la scuola, grazie agli operatori che si assicurano la disponibilità di un mezzo di trasporto e a Cesvi che se ne fa carico. L’ambiente della Casa è ospitale, il giardino ampio, ma è l’aspetto umano quello che conta di più nella loro nuova vita: “In questa casa ho imparato molto. Ho imparato ad amare gli altri e a rispettarli” – spiega Essona. “E poi vedo mia mamma felice. Non è stressata, non piange più.

Per il futuro cosa sogni? – le chiediamo… “Se trovassi un fidanzato vorrei un uomo leale, giudizioso, affidabile. E mi piacerebbe essere un medico, per aiutare le persone a scoprire ciò che le fanno stare male”. Scienze è la sua materia preferita: decisamente un buon inizio, per un percorso di rinascita di cui sei protagonista anche tu!

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