Hatcliffe

Testo di Matteo Manara, foto di Gianluigi Guercia

Dalla Casa del Sorriso, per arrivare ad Hatcliffe, si fanno poco meno di venti chilometri, percorribili in mezz’ora. Eppure bastano per trovarsi davanti luoghi e abitazioni estremamente diversi da quelli della capitale. Nei campi di Hatcliffe, per tanti anni, sono arrivati migranti urbani provenienti da diverse parti di Harare, che hanno man mano popolato un insediamento informale dalle proporzioni oggi importanti. Qui le strade asfaltate, le scuole, l’elettricità, le condutture dell’acqua, le fognature e le cliniche mediche sono quasi inesistenti. Ci vivono tra le 35.000 e le 50.000 persone, molte in alloggi informali, impiegate altrettanto informalmente nell’edilizia e in piccoli commerci. Per tanti, l’unica fonte d’acqua sono i pozzi comuni, davanti ai quali si formano lunghe code per l’approvvigionamento familiare.

Ecco un luogo che gli operatori sociali di Cesvi, impegnati in attività di sensibilizzazione e di supporto all’infanzia vulnerabile anche al di fuori delle mura della Casa del Sorriso, frequentano spesso per portare assistenza. Ad Hacliffe, infatti, non è raro incontrare nuclei familiari completamente privi di adulti, retti dai fratelli o dalle sorelle più grandi. I tanti bambini e giovani che vivono qui sono facili vittime di abusi, malnutrizione e povertà; sono molto meno protetti dall’HIV di quanto non lo siano i loro coetanei nati in altri luoghi dello Zimbabwe; non ricevono un’istruzione adeguata e per sopravvivere finiscono spesso per compromettersi in attività illegali.

È ad Hatcliffe, in una baracca di plastica, che vive Tinotenda, un bimbo simpatico e pacioccone, di 3 anni. Un bimbo che per lo Stato non esiste (non ha ancora un certificato di nascita) e che già in tenerissima età è stato esposto a situazioni di violenza domestica.

La madre di Tinotenda, rimasta sola dopo aver interrotto la sua relazione con il padre violento, si è trovata in uno stato di grave difficoltà economica. Non sentendosela di trovare un lavoro abbandonando i figli, nessuno dei quali frequentava la scuola per ragioni economiche, trascorreva tutto il giorno prendendosi cura di loro, senza però potersi guadagnare il necessario per offrire più di un pasto quotidiano.

Da quando la famiglia è stata segnalata agli operatori Cesvi come bisognosa di assistenza, le cose sono cambiate. Grazie al progetto Casa del Sorriso, Tinotenda e i suoi familiari ricevono cibo e prodotti igienici. La mamma ha iscritto Tinotenda ad un asilo, dove il piccolo trascorre l’intera giornata e mangia in abbondanza; mentre le sorelle, nelle loro nuove uniformi scolastiche, vanno finalmente a scuola, con il sostegno delle borse di studio di Cesvi.

Accade tutt’ora che a tratti Tinotenda si immobilizzi fissando il vuoto, come ripensando a tutta la violenza e sofferenza a cui ha dovuto assistere. Preferiamo invece pensare, metaforicamente, che il suo sia uno sguardo rivolto ad un futuro lontano dalla sua baracca di plastica; un futuro possibile solo ora che la sua mamma ha ottenuto un formale impiego e che lui e le sue sorelle avranno un’istruzione.