La Casa del Sorriso mi ha salvato la vita

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[nella foto: Bambini di Harare giocano felici alla Casa del Sorriso.]

Le strade di Harare, capitale dello Zimbabwe, sono popolate da migliaia di bambini e ragazzi di strada. Nessuno sa quanti siano, ma è certo che il numero dei minori che vivono in strada è in aumento in tutto il Paese. Ad Harare, Cesvi ha costruito una Casa del Sorriso dove i bambini e i ragazzi, che abitualmente vivono in strada, possono essere accolti in un clima sereno e ospitale. La Casa offre loro una possibilità concreta di salvezza e di riscatto: un luogo in cui trovare cibo, cure mediche, servizi igienici e frequentare corsi di formazione e laboratori artistici.

La storia di Pemberai inizia con il divorzio dei suoi genitori. Primo e unico figlio, viene preso in custodia dalla madre, che però muore poco dopo. A 6 anni viene restituito al padre, che nel frattempo si è risposato e soffre di alcuni problemi mentali che lo rendono violento. “Un giorno mi si è scagliato contro con un’ascia in mano”, racconta il ragazzo, “ma per fortuna è riuscito a colpirmi solo con il manico di legno. Sono svenuto e mi sono risvegliato solo. Mi sono trascinato al fiume per togliermi il sangue di dosso: un’anziana donna mi ha visto e mi ha portato all’ospedale per curarmi, e poi a casa sua per tenermi con sé e proteggermi”. Questa soluzione funziona fino al giorno in cui il padre di Pemberai viene rilasciato dall’ospedale psichiatrico e si presenta alla porta dell’anziana donna, dando fuoco al tetto della sua casa. Lei, impaurita, caccia il ragazzo.

“Nessuno voleva o poteva prendersi cura di me: avevano tutti paura delle ripicche di mio padre”, continua Pemberai. “Sono diventato un senzatetto all’età di 9 anni. Dormivo nella foresta e rubavo vestiti e cibo dalle case del villaggio, cibandomi di frutta selvatica. Ho vissuto così per 10 mesi, senza che nessuno mi aiutasse. Continuavo ad andare a scuola perché non volevo che la tragedia avesse il completo controllo sulla mia vita. Volevo continuare a stare con gli altri bambini, fingere almeno un pochino di essere come loro. Il preside della scuola conosceva la mia situazione, e mi permetteva di frequentare le lezioni nonostante non pagassi le tasse scolastiche. Quando mio padre l’ha scoperto, si è presentato a scuola per picchiarmi e minacciare di distruggere l’edificio”.

Ad Harare sono arrivato a piedi. Era il 2004 e io avevo 9 anni. Un gruppo di ragazzi mi ha preso con sé per farmi chiedere l’elemosina e rubare: quando rifiutavo venivo picchiato. Ho vissuto così per due anni, fino a che ho sentito parlare di un’organizzazione aperta ai ragazzi di strada. Ho iniziato ad andarci tutti i giorni feriali per lavarmi, mangiare e avere vestiti puliti. Mi hanno aiutato ad ottenere il diploma elementare e a trasferirmi in un istituto di Chiredzi, dove mi sono iscritto alle scuole superiori: era il 2012 e io avevo 17 anni”. Dopo neanche un anno, però, l’istituto inizia ad avere problemi economici. Pemberai scappa con altri ragazzi e torna a vivere in strada.

La sua salvezza è l’incontro con la Casa del Sorriso” di Cesvi, attraverso la quale trova due persone che decidono di sostenerlo: uno gli paga un posto in cui stare, l’altro le tasse scolastiche e di registrazione. “A quel punto sono andato a vivere con altri 7 ragazzi in una stanza di uno dei quartieri poveri di Harare e da allora ho sempre continuato a studiare”, racconta Pemberai.

Pemberai, uno dei ragazzi della Casa del Sorriso di Cesvi ad Harare, Zimbabwe. Ph. Roger Lo Guarro.
Pemberai, oggi. Ph. Roger Lo Guarro.

“Oggi ho 22 anni, sto finendo le superiori e il prossimo passo sarà laurearmi in Relazioni Internazionali o Scienze Sociali: voglio aiutare altri ragazzi che stanno passando ciò che ho vissuto io. Perché quello che le persone non capiscono è che, anche se un bambino o una bambina cresce per strada, non si trasforma in una bestia: è semplicemente un essere umano a cui la vita, troppo presto, ha giocato brutti tiri. Ringrazio Cesvi e la Casa del Sorriso per avermi dato la possibilità di rinascere, studiare e rimettermi in gioco”.

 

Foto di copertina: Roger Lo Guarro