In Africa con Claudio Bisio

Claudio Bisio in Zimbabwe con gruppo di bambini - ph. Giovanni Diffidenti

“Collaboro con Cesvi da tanti anni, li ho aiutati nella raccolta fondi. Nel 2004 ho conosciuto Takunda, un bambino nato sano da madre sieropositiva; da tempo mi ripromettevo di andare a trovarlo in Zimbabwe. Non è un viaggio semplice né per la logistica né per le questioni sanitarie. Per un lungo periodo ho anche avuto la scusa dei figli piccoli. Ma ormai sono grandi e io e mia moglie ci siamo decisi a partire. Volevo vedere da vicino i progetti di cui sentivo parlare”. Così Claudio Bisio spiega a “Sette” del Corriere della Sera, in una lunga e bella intervista di Micol Sarfatti.

Frequento Claudio da quasi vent’anni, ma non vi nascondo qualche ansia prima della partenza per i 12 giorni da passare insieme, gomito a gomito. Invece, nonostante le fatiche e un paio di disavventure, Claudio è rimasto per tutto il tempo lo stesso mattatore che tutti noi amiamo – ma senza distrarsi dagli obiettivi della missione, registrando ogni dettaglio: luoghi e animali, spiegazioni e racconti, incontri programmati e casuali. “Un’esperienza bella e intensa” – racconta – “mi ha lasciato molte cose, compreso un po’ di ovvio mal d’Africa, e mi ha stupito”. Stupito e spesso toccato, come nella Casa del Sorriso per i ragazzi di strada ad Harare. “Una delle cose più dure che ho visto”.

Nel video “Claudio Bisio goes to Zimbabwe”, registrato senza sceneggiatura e senza appunti, Claudio snocciola i numeri dei progetti presentandoli con semplicità: “L’aranceto di Shashe è uno spazio di 90 ettari in cui sono stati piantati 22.000 alberi di arancio, forniti da Cesvi, grazie a cui le famiglie e i contadini coinvolti nella gestione hanno migliorato le loro condizioni di vita”. Invece di emigrare in Sudafrica, la comunità di Shashe può fronteggiare cambiamenti climatici e desertificazione con un’iniziativa sostenibile anche nell’economia globalizzata: “Le arance prodotte vengono anche destinate al mercato. L’impianto di irrigazione è di ultima generazione e tra un filare e l’altro si coltivano ortaggi e legumi”.

Claudio spiega, ma non rinuncia alla battuta: “Una volta fatti i succhi, delle bucce, che ne facciamo? A me piacerebbe darle agli elefanti… Un’idea che ho avuto io, adesso”. Nella scena successiva lo si vede aggirarsi pericolosamente fra gli elefanti, armato di badile, per scaricare i trattori: “Questi sono scarti, inutilizzabili sia per i succhi che per il consumo di frutta fresca. In questo luogo magico vengono regalati agli animali selvaggi, elefanti, babbuini…”. Una valle che durante l’appuntamento serale con le bucce e gli scarti delle arance si affolla di tutte le specie, come un’arca di Noè.

L’Africa mi ha stupito: combatte con la miseria e le malattie, su tutte l’Aids, e allo stesso tempo sa portare avanti progetti che guardano al futuro”. Di Africa “si parla tanto e a sproposito. Io stesso ammetto di non averne saputo molto prima di conoscerla. Tanti ripetono il famigerato Aiutiamoli a casa loro. Ecco, io in questo viaggio ho visto il modo giusto di farlo”. “Dopo le polemiche sulle Ong volevo toccare con mano il loro lavoro e, per quanto mi riguarda, in questa esperienza con Cesvi ho visto tanto pragmatismo e nessun assistenzialismo”.

Rivedere Takunda, conosciuto a tre anni, era fra i propositi del viaggio di Claudio e sua moglie. Emozionatissimi di ritrovarlo oggi, quasi diciottenne, studente modello, calciatore: “un ragazzo sanissimo, simpaticissimo. È una gioia vera”. Mi resta una confessione da fare: quando Claudio ha regalato a Takunda la maglia del Milan personalizzata “Bisio”, ho suggerito a Takunda una battuta velenosa: “Bello il tuo regalo Claudio, ma mi sarebbe piaciuto ancora di più se la maglia fosse stata bianco-nera”.

 

Foto di copertina: Giovanni Diffidenti