Indice Globale della Fame: situazione drammatica in 43 Paesi. Prime vittime i giovani, a pesare l’impatto degli shock climatici

«Il mondo affronterà sempre più disastri e la risposta alle catastrofi è la chiave per la sicurezza alimentare»

750 milioni di persone nel mondo soffrono la fame: i progressi per contrastarla sono in stallo dal 2015 e nel 2023 la situazione è cupa, con la fame a livelli grave o allarmante in 43 Paesi e il numero di persone malnutrite salito a 735 milioni. Mentre si sommano l’impatto di disastri climatici, guerre, crisi economiche e pandemie, le conseguenze ricadono soprattutto sulle persone più giovani, le cui prospettive future sono minacciate: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, soffrire la fame, vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi.

Il quadro emerge dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da CESVI per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, del network europeo Alliance2015.

La 18a edizione dell’Indice Globale della Fame è stato presentata da CESVI – grazie al contributo di PricewaterhouseCoopers – a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano. Ospiti dell’evento: Lamberto Bertolè, Assessore Welfare e Salute del Comune di Milano; Maurizio Martina, Vice Direttore Generale FAO;

Fabio Massimo Castaldo, Europarlamentare (Commissioni AFET, SEDE, ECON); Stefano Gatti, Inviato Speciale per la Sicurezza Alimentare del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale; Gloria Zavatta, Presidente Fondazione CESVI; Valeria Emmi, Networking & Advocacy Senior Specialist, Fondazione CESVI; Bianca Arrighini, CEO Factanza; Andrea Grieco, European Climate Pact Ambassador; Daniele Guadagnolo, Co-Founder and Head of Climate Diplomacy at Change For Planet.

L’analisi, che calcola il punteggio GHI di ogni Paese sulla base dello studio di quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni) è stata presentata alla vigilia dell’apertura della Cop28 a Dubai.

Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti: il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri; inoltre, stima il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze.

Il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno dal 2015 (19,1), e dal 2017 il numero di persone denutrite è aumentato da 572 milioni a circa 735 milioni. Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa a Sud del Sahara (27,0 per entrambe, ossia fame grave): negli ultimi vent’anni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame. Nel 2023 in 9 Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un livello di fame basso entro il 2030.

Tra le persone giovani nel mondo, una su cinque non lavora, né è impegnata in corsi di studio o formazione[1], mentre la pandemia di Covid-19 ha causato la perdita di milioni di posti di lavoro, colpendo in particolarmente la fascia giovanile[2],  che anche quando lavora ha il doppio delle probabilità degli adulti di vivere in povertà estrema, con meno di 1,90 dollari al giorno, e molte più probabilità di essere impiegata in modo informale[3]. Questo quadro è ancora più fosco per le ragazze, su cui continua a ricadere il lavoro di assistenza non retribuito. Chiave è il cambiamento climatico, con i disastri che porta con sé: entro la metà del secolo, nello scenario peggiore, potrebbe spingere fino a 158,3 milioni di donne e ragazze in più nella povertà, mentre l’insicurezza alimentare colpirà almeno 236 milioni in più di donne e ragazze (rispetto ai 131 milioni di omologhi)[4].

Il focus del rapporto quest’anno è proprio su come gli attuali sistemi alimentari hanno pregiudicato ragazze e ragazzi, che erediteranno sistemi insostenibili, iniqui, non inclusivi e sempre più esposti alle conseguenze del cambiamento climatico. Il gruppo demografico under 25 è importante e in crescita, in particolare proprio nei Paesi con problemi di insicurezza alimentare: costituisce il 16% della popolazione del globo (1,2 miliardi di persone), mai così ampio nella storia, e in gran parte vive in Paesi a basso e medio reddito di Asia meridionale, Asia orientale e Africa[5].

Per approfondire leggi il comunicato stampa, o scarica la sinossi del GHI o il rapporto integrale.

Rivedi la diretta del lancio:

[1] Ilo 2022

[2] Hlpe 2021

[3] Ilo 2022

[4] UN Women and UN DESA “Progress on the Sustainable Development Goals: The gender snapshot 2023”

[5] Glover e Sumberg 2020

Foto di copertina di: Laura Thiesbrummel/ Welthungerhilfe, 2018