Casa del Sorriso di Lima: Carolina, volontaria per le giovani donne vittime di violenza

CAROLINA È UNA VOLONTARIA CHE A LIMA STA AIUTANDO LE OPERATRICI DEL PROGETTO CASA DEL SORRISO NEL DIFFICILE COMPITO DI PREPARARE LE GIOVANI ADOLESCENTI OSPITATE NEI CENTRI DI ACCOGLIENZA RESIDENZIALE AL REINSERIMENTO NELLA SOCIETÀ.

Adattamento dall’intervista originale di Matteo Manara

Prima le violenze subite nel contesto della famiglia. Magari una gravidanza da nascondere, la maternità. Poi l’accoglienza in un centro residenziale, con il vitto e l’alloggio garantiti dallo Stato, la possibilità di diplomarsi, ma nessuno che prepara alla vita vera. Infine, allo scoccare dei 18 anni, la necessità di cavarsela da sole, senza però avere gli strumenti per poterlo fare, con tutti i rischi che questo può comportare (tratta, prostituzione…). Sarebbe questo il destino di molte giovani peruviane, a Lima, se non ci fosse il progetto Casa del Sorriso. Lo comprendiamo ancora meglio dalle parole di Carolina, una volontaria che sta facendo tanto per accompagnare le giovani adolescenti del progetto verso una vita indipendente.

Come volontaria, di cosa ti stai occupando?

Sto creando una specie di guida per le giovani adolescenti dei CAR (Centri Accoglienza Residenziale, ndr), così che possano accrescere le proprie competenze ed essere più pronte ad una vita indipendente. Devono sapere cose basilari, ad esempio come prendere l’autobus, dove fare i documenti, come utilizzare i nuovi metodi di pagamento. Chi è stato 10 anni o più in un CAR non ha la minima idea di cosa voglia dire vivere “là fuori”. Nel mio lavoro quotidiano mi concentro poi sulla preparazione di attività e seminari.

Cosa ti rende felice di questo lavoro?

Quando sono stata nei CAR per tenere dei workshop, o per fare delle attività con le ragazze, le ho trovate molto collaborative. Si espongono, si mettono in gioco, affinché si possa intervenire in quella che è la loro vita ed eventualmente contribuire all’evoluzione del loro pensiero. C’è chi non conosce l’uso dei metodi contraccettivi, chi non sa come avviene la violenza psicologica o non sa riconoscere la violenza fisica. Tutto ciò che condivido con loro nei seminari sarà dunque molto utile per la loro vita futura. Alla fine mi cercano sempre dicendo cose del tipo: “Wow, mi è piaciuto l’argomento”, “Ho imparato molte di quelle cose!”, “Non sapevo che questa potesse essere violenza”, etc…

Quale pensi che sia la componente più importante del progetto?

Penso che sia importantissimo lavorare sul monitoraggio delle giovani adolescenti dopo l’uscita dai centri, una priorità che sfugge alle istituzioni: si pensa che le adolescenti, al compiere dei 18 anni, siano già donne adulte capaci di sopravvivere da sole, quando invece non è così. In realtà, non hanno abbastanza strumenti per poter vivere. Hanno bisogno di imparare a cercare un lavoro, hanno bisogno di un posto dove stare: è tutto ciò per cui cerchiamo di prepararle. Anche come scegliere una banca, come dotarsi di una carta di debito, sono cose essenziali che tutti dovremmo conoscere e che invece, quando escono dai centri, le ragazze non sanno. Se non ci fossimo noi non gliele spiegherebbe nessuno. E questo è molto importante per me.

C’è una storia di successo che vorresti raccontarci?

Una storia che mi sembra davvero eccezionale è quella di Bertha. Era una madre adolescente, 2 figli, il più grande con un problema di disabilità. Nonostante ciò, è riuscita ad andare avanti con il nostro aiuto e a diventare una madre abbastanza capace di prendersi cura di loro. Ora lavora stabilmente. Aiutando lei abbiamo portato beneficio anche a questi bambini che ora hanno una mamma su cui poter contare.