In Zimbabwe uso sostenibile delle risorse e tecnologie innovative per sconfiggere la fame

di Matteo Manara

Secondo i dati più recenti, in Zimbabwe il 66,5% della forza lavoro è impiegata nel settore primario, quello agricolo, da cui deriva circa il 9% del PIL nazionale. In uno scenario caratterizzato negli ultimi anni, in particolare a partire dalla reintroduzione del dollaro nel giugno 2019, da un’inflazione galoppante che ha pesantemente deprezzato la moneta locale, quale potrebbe essere il destino di famiglie e comunità che vivono in aree dichiarate “non adatte alla coltivazione”, se non quello della fame e della povertà?

Eppure per almeno 12 comunità e 1.500 famiglie nei distretti di Beitbridge e Mwenezi presente e futuro hanno preso un’altra direzione, grazie al lavoro che da anni Cesvi sta svolgendo su questi territori. Un lavoro che si fonda su alcuni pilastri fondamentali: la promozione di un uso sostenibile delle risorse, l’utilizzo di colture ad alto rendimento (come arance, paprika e zafferano), l’installazione di strutture tecnologicamente innovative. Nel racconto dei beneficiari sono elementi inseparabili, la cui combinazione sta portando insperata ricchezza e serenità.

Maria Tlou è madre di 6 bambini. A Dombolidenje (distretto di Beitbridge), dove è stato installato da Cesvi un nuovo schema irriguo, è una dei beneficiari: “Le colture che abbiamo sono mais, grano, fagioli, prodotti orticoli; stiamo investendo poi nella coltivazione della paprika. Grazie al nuovo pivot (una grande struttura in metallo, ndr) che funziona con la luce solare, stiamo irrigando aree molto più grandi in un giorno solo, usando molta meno acqua rispetto a prima”. Le nuove tecnologie non impattano solo sull’efficienza dei sistemi di irrigazione e sul risparmio di risorse naturali, ma hanno anche positive conseguenze sociali: “Noi donne abbiamo più tempo per la famiglia, mentre prima eravamo solite passare la notte nei campi, irrigando. Ora l’irrigazione, peraltro automatica, avviene di giorno e nessuno deve lavorare la notte”. Durante il lavoro notturno era frequente essere morsi da serpenti.

Se andiamo indietro nel tempo, il progetto “pilota” che sta permettendo di portare in aree sempre più ampie dello Zimbabwe un nuovo modo di fare agricoltura, è quello di Shashe, un territorio situato nei pressi dell’alveo dell’omonimo fiume, che per la verità porta acqua solo per pochi giorni l’anno. Qui Cesvi ha dato vita, con la partecipazione degli abitanti dei villaggi, ad un aranceto di 93 ettari costituito da 22.500 alberi d’arancio, la cui produzione annua ha raggiunto oggi oltre 800 tonnellate (per la precisione 844 nel 2021, di cui 786 vendute ad una azienda che fin dagli inizi è partner del progetto). Sithengisiwe Dube, anche lei madre di 6 bambini, donna dal grande spirito imprenditoriale, reinveste in modo saggio i proventi della vendita delle arance. Nel 2018 Dube ha acquistato cemento e carriola, nel 2019 comprato un asino, nel 2020 un letto e costruito una casa di 2 stanze. “Con i proventi del raccolto 2021 intendo acquistare una mucca”, ci ha detto.

Ora la nuova frontiera è rappresentata dalla paprika. “Continueremo assolutamente con la paprika”, racconta un’altra beneficiaria, Maina Chuma, che abbiamo incontrato a Murowe, nel distretto di Mwenezi. “La formazione che abbiamo ricevuto è stata molto utile, e ne è dimostrazione il fatto che non abbiamo avuto grande difficoltà nella selezione delle sementi; anche chi ha acquistato il prodotto finale (in questo caso destinato all’esportazione, ndr) ci ha detto che abbiamo fatto davvero un bel lavoro, considerando che era la prima volta che coltivavamo questo prodotto”. Le prospettive sono rosee: “Abbiamo anticipato tanti miglioramenti nelle nostre case”, racconta Maina. “Abbiamo ancora alcune difficoltà da superare, ma grazie a questa coltura riceveremo denaro contante, pagheremo l’iscrizione a scuola dei nostri figli, acquisteremo stoviglie per la cucina. Ci aspettiamo un giorno grazie alla paprika di poter guidare auto di nostra proprietà!”