“La mia storia la firmo io!”: Tari

La Casa del Sorriso di Cesvi ad Harare, Zimbabwe. Foto di Roger Lo Guarro.

Cesvi partecipa alla 2edizione del Festival dei Diritti Umani. Nell’ambito della manifestazione vogliamo raccontare il nostro impegno per la salvaguardia di un diritto fondamentale, ancora troppo spesso calpestato o ignorato: la libertà d’espressione.
Dopo anni passati a vivere per strada, i ragazzi ospiti della nostra Casa del Sorriso in Zimbabwe stanno coraggiosamente lottando per riappropriarsi del diritto a raccontare sé stessi in prima persona, senza più paure. Grazie alla partecipazione a un laboratorio di giornalismo seguito dall’associazione locale Keepers Alert, i ragazzi hanno potuto improvvisarsi cronisti e raccogliere le proprie esperienze nel magazine “Keepers”.
Tra le giovani penne che hanno firmato il primo numero, c’è anche Tari.

Mi chiamo Tari, e questa è la mia storia: non ho mai avuto un padre, perché il mio non mi ha riconosciuto alla nascita; il suo rifiuto mi faceva soffrire, ma non c’era nulla che potessi fare. Non ho una madre, perché la mia è morta quando avevo solo 7 anni; un giorno è tornata a casa dicendo di avere un dolore al cuore, si è stesa a letto e non si è mai più rialzata. Le volevo bene: anche se mi picchiava spesso, sotto le botte sentivo il suo amore e la perdonavo sempre.

Sono rimasta a vivere con mia nonna. Con lei le cose andarono bene all’inizio, di solito non le davo problemi. Capitava però, quando non c’era nessuno in giro, che le rubassi dei soldi dal portafogli. Allora lei, quando se ne accorgeva, cominciò a punirmi con botte e insulti.
Un giorno – avevo circa 13 anni – le rubai un dollaro e mezzo; fu diverso dal solito perché, anche se mia nonna se ne accorse, non mi punì. Non capivo la sua reazione, non capivo cosa fosse cambiato. Confusa, scappai di casa. Fu la prima volta di tante.

In strada mi univo ad altre ragazze per chiedere l’elemosina e vivere di piccoli espedienti. Riuscii anche a farmi un’amica, Lucia, che mi mise in contatto con Streets Ahead, l’organizzazione ospitata dalla Casa del Sorriso di Cesvi che cerca di ricongiungere i bambini di strada con le loro famiglie. Grazie a loro tornai a casa, ma non ci rimasi a lungo.
Nel corso degli anni sono scappata più volte, e più volte mi hanno trovato e riportato a casa. In strada ho cominciato a vendere il mio corpo e a fumare erba e sniffare colla, per cedere i sensi a un oblio più magnanimo.

Se uno non l’ha mai fatto, non saprà mai cosa vuol dire vivere per strada. Io oggi ho il coraggio di sognare il mio futuro: diventare hostess e poter aiutare i bambini di strada. Non so ancora come, ma so che avrò l’opportunità di fare grandi cose. So che non sono un fallimento, ma una vincitrice, e come tale supererò i miei problemi. Alle ragazze come me dico di non perdere le speranze, perché noi siamo il futuro, perché noi siamo i presidenti, i dottori, la generazione di domani.

Poesia di Tari

La prima cosa che voglio che sappiate
È che nessuno vuol diventare bambino di strada,
Ma succede che sia la vita a scegliere per te.
Lo dico perché io sono una di loro,
Ma non volevo essere una di loro.

La seconda cosa che voglio che sappiate
è che mi chiamo Tari e che mia nonna mi picchiava.
Mi picchiava e mi insultava,
Per questo sono oggi una bambina di strada.

La terza cosa che voglio che sappiate
È che la sola cosa che in me la gente vede
È una bambina di strada criminale.
E questo mi fa stare male.

La quarta cosa che voglio che sappiate
È che per una femmina la strada è ancora più dura.
Qualcuna diventa prostituta
Altre usano droghe per annegare il dolore
E tutte veniamo violentate.

La sola cosa che voglio chiedervi
È di non giudicarci,
ma di vedere in noi il futuro.
E di avere un po’ di pietà,
perché la strada è il solo destino
di chi cresce senza amore.

 

Foto di copertina: Roger Lo Guarro.